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"Se volessi essere completamente onesto, dovrei dire che trovo l’arte, e non soltanto l’arte cinematografica, quasi priva di valore. Il cinema è rimasto per me il mezzo di espressione preferito. Con esso sono riuscito a farmi capire in una lingua senza parole (che mi mancavano), senza musica (che conoscevo pochissimo); e senza pittura (e di questa non sentivo affatto il bisogno).
D’improvviso ho avuto la possibilità di corrispondere con tutto il mondo trasmettendo pensieri della mia mente alle altre, con frasi che eludevano il controllo dell ‘intelletto, ricevendone un piacere quasi voluttuoso. Oggi la situazione è molto complicata, meno interessante, soprattutto meno affascinante. La letteratura, la pittura, il cinema e il teatro, procreano e si nutrono da soli.
Mutazioni nuove, combinazioni nuove crescono, vengono distrutte e rinascono, per lo splendido zelo degli artisti di proiettare per se stessi e per un pubblico sempre più distratto, immagini di un mondo che non si preoccupa affatto di ciò che essi pensano". (Ingmar Bergman)

"Ho visto molte cose strane accedere nei boschi, e mi è sempre sembrato che la gente dicesse solo il dieci percento di quello che sapeva, il resto toccava a te scoprirlo. Vedo i miei film come qualcosa di separato dalla realtà. Per me sono fiabe, o sogni. Non sono politici, non fanno commenti, non sono strumenti di insegnamento. Sono solo cose. Ma devono seguire certe regole. Una di esse è il contrasto. Non può esserci una linea retta di pura felicità. La gente si addormenta. Così ci sono conflitti, lotte per la vita e la morte. Mi piacciono i "mysteries" con delitti. Mi prendono completamente perché trattano di vita e morte. Se c’è dentro la parola hotel o fabbrica, mi coinvolgono ancora di più. I miei film significano cose diverse per persone diverse. Alcuni significano più o meno le stesse cose per molte persone. Mi sta bene, a patto che non ci sia un solo messaggio somministrato col cucchiaio. Sono riconoscente per i segreti e i misteri, perché offrono uno stimolo ad apprenderli, ti invitano in una galleria dove puoi volteggiare mentre attorno accadono cose meravigliose. Spero di non avere mai risposte complete." (David Lynch)

"L’angoscia l’ho conosciuta a Varsavia, quando ho visto i tedeschi costruire un muro attorno al quartiere dove ci avevano deportati. Quando ho capito che ci stavano murando. Era il 1942, avevo nove anni e ho capito tutto benissimo. La paura fisica l’ho conosciuta quando i tedeschi stavano liquidando il ghetto. Camminavo per la strada.  Loro stavano portando via una colonna di donne. C’era una vecchia più dietro delle altre, che non ce la faceva a tenere il passo e piangeva. Improvvisamente un ufficiale tedesco ha estratto la rivoltella e le ha sparato alla schiena. È sgorgato il sangue, come un geyser, e la vecchia è caduta. Sono corso verso un portone e mi sono nascosto sotto una scala. La paura, si, e nello stesso tempo l’incoscienza. Ricordo che facevo collezione di francobolli. Mi è capitato di uscire parecchie volte dal ghetto, attraverso un buco nei reticolati, per andare a comprare dei francobolli. Che follia! Rischiare la vita per un francobollo." (Roman Polanski)

"Io credo, pensando ai miei film, che siano imperniati non tanto sul conseguimento di qualcosa, ma piuttosto sulla ricerca. Se noi cerchiamo qualcosa, il labirinto è il luogo più adatto alla ricerca. Non so perché, ma i miei film sono tutti, in gran parte una ricerca fisica. (…) Io rifletto sui miei film mentre li preparo. Per ogni film faccio un enorme quantità di preparativi, che metto da parte solo nel cominciarli. Quel che è meraviglioso nel cinema, che lo rende di gran lunga superiore al teatro, è che possiede molti elementi che possono sovrastarci ma anche arricchirci, offrendo una strada che non troviamo altrove. Il cinema deve sempre essere la scoperta di qualcosa. Io credo che il cinema debba essere essenzialmente poetico. Per questo nel corso delle riprese, e non nella fase di preparazione, cerco di innescare un processo poetico che differisce dal processo narrativo o dal processo drammatico. (…) All’inizio ho una nozione base del film. Ma ogni giorno, ogni istante questa nozione è deviata dall’espressione degli occhi di un’attrice, dalla posizione del sole. Non ho l’abitudine di progettare un film e di mettermi a farlo. Quando preparo un film, non ho l’intenzione di fare questo film. La preparazione ha lo scopo di liberarmi perché possa lavorare a modo mio: per pensare a dei brani di film e al risultato che daranno." (Orson Welles, 1964)

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dedicato ad Enrico:

La Grande Abbuffata:

Il fischio al naso:

"Voi vi chiamate anarchici? Voi mi fate incazzare!" – di Paul Mavrides e Jay Kinney

bonus scans:

"Adoro il sogno, anche se si tratta di un incubo, come quasi tutti i miei sogni. Perennemente disseminati di ostacoli, che conosco e riconosco. Ma la cosa mi è indifferente. Questa mia folle passione per il sogno, per il piacere di sognare, assolutamente privo di qualsiasi tentativo di spiegazione, è uno dei gusti profondi che mi hanno avvicinato al surrealismo. "Un chien andalou" è nato dall’incontro fra due sogni, uno mio e uno di Dalì. Più tardi,  ho inserito dei sogni nei miei film,  cercando  di evitare  l’aspetto razionale ed esplicativo che hanno nella maggior parte dei casi." (Luis Bunuel)

""El" è uno dei miei film preferiti. A dire il vero non ha niente di messicano. L’azione potrebbe svolgersi in qualsiasi posto, dato che presenta il ritratto di un paranoico. "El" comportava un certo numero di particolari veri, presi dall’osservazione quotidiana, e anche buona parte d’invenzione. All’inizio per esempio, nella scena del mandatum, del lavacro dei piedi in chiesa, il paranoico individua subito la sua vittima come un falco che vede un’allodola." (Luis Bunuel)

IL FANTASMA DELLA LIBERTÀ’ (Le Fantome de la liberté)
"Il titolo, già presente in una frase de "La via lattea" (la sua libertà è solo un fantasma), voleva essere un omaggio discreto a Karl Marx, a quello "spettro" che percorre l’Europa e che si chiama comunismo, all’inizio del Manifesto. La libertà, che nella prima scena del film è una libertà politica e sociale (quella scena si ispira a avvenimenti veri, il popolo spagnolo gridava realmente "Viva le catene!" al ritorno dei Borboni, in odio alle idee liberali introdotte da Napoleone), quella libertà assumeva ben presto un altro significato, la libertà dell’artista e del  creatore,  illusoria quanto  l’altra". (Luis Bunuel)

"Buster non cercherà mai di farci piangere perché sa che le lacrime facili sono superate. Non è tuttavia il clown che ci farà sbellicare. (…) Al cinema preferiremo sempre l’espressione monocorde di un Keaton a quella infinitamente sfaccettata di un Jennings. (…) In Keaton l’espressione è semplice come quella di una bottiglia, ad esempio; sebbene sulla pista rotonda e chiara delle sue pupille piroetti la sua anima asettica. Ma la bottiglia e il viso di Keaton possiedono punti di vista infiniti. Sono elementi rari cui è affidato il compimento della missione nell’ingranaggio ritmico e architettonico del film. Il montaggio, chiave di volta del film, combina commenta e unifica tutti questi elementi. Ci si può attendere una maggior capacità cinematografica? Si è voluto credere all’inferiorità di Buster, "l’antivirtuoso", rispetto a Chaplin; farne una specie di stigmate. Riteniamo un pregio la capacità di Keaton di giungere al comico mediante l’armonizzazione delle situazioni, degli oggetti e degli altri mezzi di realizzazione. Keaton è carico d’umanità, di più: d’una recente e increata umanità, di una umanità alla moda se vogliamo." (Luìs Bunuel, 1927)

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