Archive for category vari altrove

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New Wave – Pierfrancesco Pacoda. Scansioni stampabili.

Qualche giorno fa sono andato al CPA Firenze Sud per un concerto hardcore. Su una bancarella che distribuiva materiale autoprodotto ho trovato un libro interessante: New Wave di Pierfrancesco Pacoda, 1982. Edizione ignota (probabilmente stampato in proprio). Correggetemi se sbaglio. Un ringraziamento particolare a Caterina. (^o^)

Continua lunedi' prossimo la rassegna curata da Gio La Face e le sue Officine Cinematografiche Parigi – New York: linea diretta per la New Wave: prossima proiezione Vortex, di Scott & Beth B., con Lydia Lunch. PROIEZIONE IN PELLICOLA CINEMATOGRAFICA 35 MILLIMETRI!!! Ingresso sottoscrizione 2 €. Proiezione UNICA ore 22.30. Accorrete che questo film se ve lo perdete difficilmente lo potrete rivedere in 35mm! Un augurio di pronta guarigione allo zio Gio che e' in ospedale per un problema alla pianta del piede sinistro. ciao

xxx 

Scansione della copertina di New Wave Pierfrancesco Pacoda


fronte 


retro 

clicca sul link sottostante , o sulle anteprime, per vedere le scansioni (stampabili) di alcune pagine dal libro New Wave

new wave

Throbbing Gristle:

Killing Joke:

Metabolist:

Robert Wyatt:

Pop Group:

appendici DIY – fanzines e  dischi autoprodotti:

Scan: THX 

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Ferragosto cinematografico a Castello (FI)

dalla mailing list dalla Cineteca di Firenze: 

“LA VEDOVA ALLEGRA” DI LUBITSCH CON CHEVALIER
IN UNA NUOVA EDIZIONE RESTAURATA

Martedì 14 alle 21,30, con repliche mercoledì 15 e giovedì 16 agosto
grande evento alla CINETECA DI FIRENZE, nell’ARENA CASTELLO (in caso di
maltempo in sala). Viene presentata in PRIMA VISIONE per Firenze la
pellicola restaurata, rigorosamente in originale con i sottotitoli in
italiano, del grande classico LA VEDOVA ALLEGRA che il maestro del
cinema tedesco Ernst Lubitsch realizzò nel 1934 negli USA, affidandosi
all’attore canterino Maurice Chevalier francese,protagonista nel ruolo
del principe Danilo,insieme a Jeannette McDonald che interpreta la
ricca ereditiera Sonia, soprannominata la “vedova allegra”.
La fortunata operetta di Franz Lehar, maestro di musica ungherese,
ambientata a Parigi nel 1885, fu rappresentata in teatro per la prima
volta a Vienna nel 1905. Poco meno di trent’anni dopo passò sotto il
geniale tocco della commedia personalizzata di Lubitsch che ne fece uno
dei suoi capolavori. Tra le celebri arie musicali in valzer e in marcia
“Tu che mi hai preso il cuor”, ”Donne, donne eterni dei”, “Tace il
labbro”, si snoda la storia di conquista e d’amore tra un principe
dongiovanni e la proprietaria di gran parte delle ricchezze di un solitamente improbabile piccolissimo stato da operetta, appunto, dell’Europa centrale.
Tra gli attori il fidato Edward Everett Horton e l’apolide Akim Tamiroff.

Ingresso € 5.00 Ridotti con tessera Cineteca di Firenze € 4.00
Cineteca di Firenze – Cinema Castello
Via Reginaldo Giuliani 374 – Firenze
Tel. 055 450749
http://www.cinetecadifirenze.it

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CUM2CUT – festival di cortometraggi indie-porn

 

da: http://nakinub.noblogs.org/post/2007/08/09/cum2cut-festival-di-cortometraggi-indie-porn

Il festival di cortometraggi indie-porn CUM2CUT è un progetto in collaborazione con il Berlin Porn Film Festival, il primo porno film festival che si tiene nella città di Berlino.

CUM2CUT
è una gara di cortometraggi incentrati sulla pornografia indipendente.
E' una maratona di tre giorni nella quale i partecipanti sono invitati
a realizzare un cortometraggio girato interamente a Berlino: tutti i
corti, verrano poi proiettati durante il Berlin Porn Film Festival
nello storico cinema KantiKino della citta'.

 

Nella
cinematografia tradizionale la pornografia viene considerata come un
genere di seconda categoria. Durante il festival CUM2CUT magicamente si
trasforma nel genere principale!

Tutti
i corti girati devono essere pornografici. Durante il primo giorno
della maratona CUM2CUT, attraverso un sorteggio, ogni gruppo
partecipante ricevera' un genere cinematografico da associare a quello
pornografico. Per esempio: azione, avventura, commedia,
thriller/gangster, drammatico, epico, storico, horror, musical,
fantascienza, western, splatter, ecc.

Tutti
i corti devono essere interamente girati a Berlino dopo il party di
apertura, per promuovere, divertirsi, e condividere il piacere di fare
pornografia in tutta la citta'. Questo e' il gioco de D.I.Y. (do it
yourself)! Autogestisci la tua pornografia!!!

Ognuno
e' liber@ di utlizzare qualsiasi strumento e modalità per realizzare il
corto dei suoi sogni! Ci sono solo alcune "regole" da seguire:

  • nel corto deve comparire una stella rosa;
  • deve comparire un coniglietto di plastica;
  • si deve sentire/dire la frase "I'll fuck anything that moves"*;
  • il corto non deve superare i cinque minuti e deve essere in formato MINI-DV;
  • la musica utilizzata deve essere free, o in licenza Creative Commons**;
  • per
    aiutare coloro che non sanno dove girare il corto, verranno suggerite
    alcune locations da utilizzare per l'occasione; anche se tutti i
    partecipanti sono invitati quanto piu' possibile a utilizzare come set
    la città di Berlino.

*Una
famosa frase pronunciata da Dennis Hopper nel film "Blue Velvet" di
David Lynch, e precedentemente usata in un film porno di Annie Sprinkle.

**Siti esempio da cui scaricare la musica: [web site1] [web site 2] [web site 3] [web site 4] [web site 5] [web site 6] [web site 7]

I
partecipanti devono riconsegnare i corti prodotti entro la mezzanotte
del 16/10/2006, due giorni dopo il party di inaugurazione.

Una giuria d'esperti
dell'area del porno indipendente, queer e cinema sperimentale
internazionale selezioneranno tre vincitor@. A quest@ verranno offerti
dei premi, non soldi ma qualcosa di veramente speciale dalla "Cazzo
Production" e dalla area dell'indie-porno berlinese!

A
conclusione della maratona, tutti i film prodotti verranno mostrati nel
cinema KantKino di Berlino. CUM2CUT e il Berlin Porn Film Festival si
concludono con un party finale presso il locale Festsaal Kreuzberg (22
ottobre, dalle 22.00).

Registazione
Per
cointribuire all'organizzazione del Festival, i gruppi partecipanti
sono invitati a versare un contributodi 12 €. Email d'iscrizione: info@cum2cut.net.

Questo è il sito del CUM2CUT.

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Remembering Bergman, Antonioni

Il mondo del cinema e' in lutto per la scomparsa di due fra i piu' grandi maestri del cinema: Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni. Con questo articolo vorrei rendere omaggio a questi due "immortali" registi. Che possano riposare in pace.
THX 


da http://featuresblogs.chicagotribune.com/talking_pictures/2007/07/remembering-ber.html 

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Originally posted: July 31, 2007

Remembering Bergman, Antonioni

Anton

Early this week, in the same pitiless 24-hour cycle, the world lost two exacting masters of cinema, the Swedish writer-director Ingmar Bergman (dead at 89) and the 94-year-old Italian modernist Michelangelo Antonioni. While Federico Fellini put an antic, slightly desperate face on the European avant-garde cinema, directors no less disparate in their concerns and aesthetics as Bergman and Antonioni gave audiences something else entirely. Bergman's world was illuminated by winter light; Antonioni's was defined by the adventure of not knowing what lies beyond, or in the equally mysterious emotional expanse between two human beings.

Seeing any filmmaker's work in isolation opens the window only so far. But if you revisit Bergman's "The Seventh Seal," with its endlessly parodied images of Death and his scythe and the chess match, your conception of Bergman is immediately challenged by seeing it alongside Bergman's earlier "Smiles of a Summer Night," the mellow, full-bodied comedy that inspired the musical "A Little Night Music" and roughly one-fifth of Woody Allen's career.

Or this: Watch Bergman's "Shame," which may be his least-heralded great work, and then an hour or two or a day or two later, immerse yourself in the warm bath that is "The Magic Flute" or "Fanny and Alexander" (preferably the long television version). They are richly contrasting experiences.

"No art passes our conscience in the way film does," Bergman once said, "and goes directly to our feelings, deep down in to the dark rooms of our souls." That's the image of Bergman we know from the mockery he inspired, beginning with the 1968 short film "De Duve" (featuring a young Madeline Kahn). The homages were more of a drag: Woody Allen tried to ape the Bergman severity (in "Interiors," for example) when he wasn't going for a "Smiles of a Summer Night" provincial estate romp ("A Midsummer Night's Sex Comedy," which owed a lot to Renoir's "Rules of the Game" as well, or rather, not as well).
Tellingly, Bergman's "Shame" never comes up for parody. It's pretty stunning, and it speaks directly to Bergman's power as an actor's director. Liv Ullmann and Max von Sydow play a married couple whose lives are altered forever by a civil war in the very near future. What happens in "Shame" is what happens when an artist strips away all affectation and pretense.

The pretense is certainly thicker with Antonioni. Ever since "L'Avventura" (above, featuring Monica Vitti) divided audiences at the 1960 Cannes Film Festival, Antonioni has served as an emblem of bourgeois malaise, or the sleek Italian equivalent thereof. The Cannes jury awarded "L'Avventura" a citation for creating "a new movie language," and for "the beauty of its images." They were dead right: Never before had moral rot been visualized so slyly, in a narrative that left its central question (what happened to the woman on the island?) unanswered. The director's rigorous, architectural use of space worked insinuating wonders, whether the scenery was rugged island coastline, where one of Antonioni's pleasure-cruisers disappears and is never found, or 1960-era urban landscapes of a more sterile sort.

Yet there is more than one Antonioni, as the Gene Siskel Film Center's recently concluded summer retrospective proved. Take, for example, "Il Grido" ("The Cry"), made three years before "L'Avventura." It belongs to the neo-realist tradition of the 1940s and early '50s, in form and content. It does not, however, belong to the past. Antonioni keeps nudging his wastrel protagonist toward unsettling, open-ended experiences more in line with the work to come.

The director didn't encourage grand metaphoric readings of that work and claimed he wasn't after "anything like an analysis of modern society … these are only feelings I have, and I am the least speculative man on Earth." Test that self-assessment against your own experience with Antonioni. It is a good time to do so. It is a good time to remember Bergman the same way. The two men had little in common except a fanatical curiosity about life, and loss. And the revealing beauty of just the right face.

mjphillips@tribune.com


info:

http://it.wikipedia.org/wiki/Michelangelo_Antonioni

http://it.wikipedia.org/wiki/Ingmar_Bergman

 

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Cineshock mp3


DJ desk in THX’s room @ Molino Altare. Gif image: THX (2007). The records on the turntables are: left – “Public image” P.I.L. – 7″ (original); right – “Organic 23″  L.O.S.D – 5” (original). First record in the lower krate: “100 mph backsliding turkey kuts” Darth Fader & The Wax Warriors – 12″ (reissue).

creato nuovo album cineshock mp3 contenente 4 file mp3 di colonne sonore a bassa fedelta’:

2 estratti da Salo’ – Pier Paolo Pasolini

1 estratto da Faster, Pussycat! Kill! Kill! – Russ Meyer

1 estratto non identificato (esorcismo cineshock)

audio editing + mp3 encoding: THX (2007)

Prossimamente rendero’ disponibili altri file in questo album.

clikkare sulle icone per scaricare gli mp3


Sound

esorcismo cineshock.mp3

5.3 MB
MP3 44100 bps


Sound

p p pasolini – salo – pronto.mp3

2 MB
MP3 44100 bps



Sound

r meyer – faster pussicat kill kill.mp3

1019 KB
MP3 44100 bps


Sound

p p pasolini – salo.mp3

1.2 MB
MP3 44100 bps


spilla dipinta a mano da Eleonora B. Foto: THX (2007)

xxx

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Coffy – Jack Hill; 1973


locandina di Coffy 

da http://cinemino.kaywa.com/blaxploitation/coffy.html

Coffy
di Jack Hill

Trama

Coffy è un infermiera la cui giovanissima sorella è in coma a causa di una dose di eroina tagliata male.
Per vendicarsi, Coffy compie una discesa agli inferi tra magnaccia, spacciatori e mafiosi mettendo in atto una giustizia sommaria di cui vittime sono tutti i delinquenti che incrociano il suo cammino.

"It was easy for him because he really didn't believe it was comin',
but it ain't gonna be easy for you, because you better believe it's comin'!"
(Coffy)

Il film

Coffy, uno tra gli esempi più fulgidi, del genere Blaxploitation, narra di una sorta di personaggio come quello interpretato da Charles Bronson in Death Wish (Il giustiziere della notte, 1974) ma con le tette, la visione delle quali, nel corso del film, non viene lesinata.
Coffy è una donna dura, arrabbiata e determinata, il cui obiettivo è quello di ripulire le strade da spacciatori et similia, e per farlo non fa risparmio di armi, taglienti lamette nascoste tra la folta chioma, bottigliate in testa senza però mai perdere in sex appeal, esattamente come alcune eroine del cinema d'azione più recente come Sigourney Weaver in Alien (1979) o Linda Hamilton in Terminator 2 (1991), i cui sex appeal però, secondo una visione di stampo più moderno, non necessitavano dell’esibizione di petti nudi a piè sospinto (ma che, senza Coffy o Foxy, non sarebbero forse esistite, non in quegli anni comunque). Se però Coffy paga da una parte il suo pegno al cinema di genere, dall'altra propone il ritratto di una donna indipendente, che non ha bisogno di un uomo al suo fianco che la difenda o che provveda a lei. E questa, per il cinema di genere dell'epoca, è una novità affatto trascurabile.
La sete di vendetta di Coffy per la giovane sorella in coma a causa di spacciatori e magnaccia, non si placa e, soprattutto, non si ferma davanti a nulla.
La prima scena la vede fingersi tossicodipendente in crisi di astinenza mentre propone il suo corpo in cambio di una dose. Pochi istanti dopo, in un appartamento dove lei avrebbe dovuto concedere le sue grazie, il cervello dello spacciatore è già distribuito sulle pareti grazie a un ben assestato colpo di pistola, mentre il suo tirapiedi morirà di lì a poco di una overdose indotta.
Risolta questa prima pendenza, Coffy decide di vendicare il suo amico poliziotto Carter, anch'esso in coma in seguito allo scontro con alcuni malviventi intenzionati a fargli pagare il fatto che non ha accettato di apparire sul loro libro paga. "Se sarà fortunato, potrà ancora recarsi al gabinetto da solo", dice di lui un medico che deve avere mancato le lezioni di sensibilità verso i parenti dei malati, e Coffy parte a caccia dei mafiosi che l'hanno ridotto così.

Coffy nasce a causa di Cleopatra Jones, diretto da Jack Starrett nel 1973. Il secondo titolo, infatti, viene portato da un produttore alla A.I.P., che decide di metterlo in produzione.
Il produttore, però, riceve un'offerta migliore a livello finanziario dalla Warner Bros. e decide di portare il progetto da loro. Larry Gordon, allora a capo del settore produttivo della A.I.P., decide di reagire a quello che ritiene un torto, mettendo immediatamente in cantiere un film, Coffy appunto, in grado di fargli concorrenza. Il duello si concluderà alla pari a livello di incassi ma a fronte di un investimento per la creatura della Warner pari al doppio per la produzione e dieci volte superiore per la pubblicità.

Scatenato e divertentissimo come il suo seguito non ufficiale Foxy Brown (dove il personaggio, malgrado il diverso nome, è lo stesso), Coffy si distingue da molti film coevi non solo per la scelta del regista Jack Hill di riempire il film con tutti i tòpoi del genere, violenza grafica e pretesti vari per fare uscire le sue attrici dai vestiti il più frequentemente possibile – ossia ciò che è legittimo aspettarsi da un film di questo genere – ma anche ad alcune scelte non scontate e all'indiscutibile carisma di Pam Grier, che qui mostra una capacità interpretativa efficace sebbene ancora un poco acerba.
In un genere caratterizzato da nudi gratuiti, violenza senza requie e, soprattutto, la glorificazione degli stereotipi razziali, Coffy rimane un film di grande intrattenimento e un ottimo mezzo per capire un genere che negli anni '70 ha senza dubbio contribuito a salvare il cinema statunitense.
Come per ogni film del genere blaxploitation, grande importanza riveste la colonna sonora, in questo caso composta da Roy Ayers e assolutamente da avere.

(Roberto Rippa)

Coffy
(USA, 1973)
Regia: soggetto e sceneggiatura: Jack Hill
Musiche originali: Roy Ayers
Fotografia: Paul Lohmann
Montaggio: Chuck McClelland (citato nei crediti come Charles McClelland)
Interpreti principali: Pam Grier, Booker Bradshaw, Robert DoQui, William Elliott, Allan Arbus, Sid Haig, Barry Cahill

Colonna sonora

Coffy – Roy Ayers
(Polydor)

a1. Coffy Is The Color
a2. Priscilla's Theme
a3. King George
a4. Aragon
a5. Coffy Sauna
a6. King's Last Ride
a7. Coffy Baby

b1. Brawling Broads
b2. Escape
b3. Shinning Symbol
b4. Exotic Dance
b5. Making Love
b6. Vittroni's Theme/King Is Dead
b7. End Of Sugarman

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Guy Debord (contro) il cinema

Ho meritato l'odio universale della societa' del mio tempo e mi avrebbe dato fastidio avere altri meriti agli occhi di una societa' del genere. Ma ho notato come sia ancora una volta nel cinema che ho sollevato l'indignazione piu' perfetta e piu' unanime. Si e' persino spinto il disgusto al punto di plagiarmi molto meno qui che altrove, in ogni caso fino a questo momento. La mia stessa esistenza resta, in questo ambito, un'ipotesi generalmente respinta. Mi vedo dunque posto al di sopra di tutte le leggi di genere. Eppure, come diceva Swift, <<non e' una magra soddisfazione per me presentare un'opera assolutamente al di sopra di ogni critica>>.

Guy Debord

Tratto dalla copertina del volume "Guy Debord (contro) il cinema" a cura di Enrico Ghezzi e Roberto Turigliatto; Editrice Il Castoro / La Biennale di Venezia; 2001

Dedicato a Jo e a Adamo che mi hanno fatto conoscere i testi dell'Internazionale Situazionista.

Guy Debord 1957: Psychogeographic guide of Paris
immagine tratta da http://imaginarymuseum.org/LPG/Mapsitu1.htm 

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The Record as Secular Icon

 

The increasing importance of records within popular culture has undoubtedly contributed to the interest that they have held for modern artists. They are, indeed, icons of the twentieth century, representing the pop stars that are worshipped. This is particularly true for the current generation of young artists so overtly influenced by the media.

At the beginning of the century, too, there was a considerable interest in records, if not fetishization of them. As early as 1925, artists developed an interest in records as objects. In 1922, Laszlo Moholy-Nagy advocated the use of phonograph records for purposes of production as well as reproduction. By this he meant that rather than simply using records to transcribe audio material from the ‘real’ world, they be manipulated manually to produce original as well as mimetic sounds. The following year, Moholy-Nagy elaborated on this proposal suggesting that conventional records be examined to determine what types of grooves make what types of sounds so that a phonetic groove-script alphabet could be established:

Since the grooves on the mechanically produced record are microscopic in size, we shall first have to devise a method for reducing by technological means down to the normal size of a present-day record any large-scale groove-script record that can be conveniently worked by hand. It would be desirable to make a photograph of a present-day (reproductive) record and to make a photo-clich6 or photo-engraving of the photograph by a zincographical or galvanoplastical process. Should such a record prove to be just more or less playable, the basis for subsequent work along these lines will be established.

By 1963, Czechoslovakian artist Milan Knizak had realized direct manipulation of records, but not quite as Moholy-Nagy had intended. Knizak created his Destroyed Music series by altering popular records: scratching, burning, cutting, gluing and applying adhesive tape to them. Some scratches created endless loops, with the stylus remaining stuck in one damaged groove. Other objects were reassembled from broken pieces of several different records. Knizak considers this work to be musical composition. They were intended to be played.

The idea of damaging records was manifested in a number of other works at this time, and continues today. New York artist Christian Marclay employs some of these same techniques to create his altered discs, but with more specific intention in terms of the resulting sound. In his performances, Marclay spins up to eight altered records simultaneously on individual turn-tables. He composes with several piles of records that he prepares and sorts in advance, thus knowing from what pile to select a disc for a desired effect at any time during the performance. The individual records are notated with stickers that identify specific passages and are sometimes applied to create loops. He drops the needle on to the record after the first of two stickers and when it hits the second it jumps back to the first and repeats. Sometimes the records are played at non-standard speeds. Into other records, he drills additional centre holes (off-axis), creating a wobbly effect. His Record Without a Cover is a recording of one of these performances. The studio performance is pressed onto one side of the disc. On the other, embossed lettering instructs the owner not to store the record in a protective sleeve. The scratches that result from handling enhance the quality of the sound and make each copy unique.

Marclay also makes unique objects. Cutting intricate patterns out of several records with ajeweller’s saw, he then glues the different pieces back together to construct a collaged disc. His Dialogue LP with Two Profiles, for example, fuses two profiles of faces cut from black vinyl spoken word discs onto an orange musical disc. As the record spins, music plays until the needle pops at the splice and a voice speaks when the needle passes over the black vinyl figure. The cycle then repeats, resulting in a conversation between the two figures. Other pieces use geometric designs and discs with different content. The splices in all of these records create pops that become rhythmic elements of the total piece.

San Fransisco performer Boyd Rice comes out of the punk movement of the late 1970s. Since 1977 he has released several altered recordings. Early pieces were made on tape, splicing pieces of different recordings together. One consists of every recording of Lesley Gore singing the word ‘cry.’ Later records utilized off-axis holes and instructed the listener to play ‘at any speed.’ Still other records include several sound-tracks of endless loops pressed deliberately into the record that endlessly repeat short sound effects. Listeners are encouraged to listen to these closed grooves as songs.

Boston composer Roger Miller (not the country and western singer) emerged from the new wave band, Mission of Burma. His Pop Record is an acetate pressing (used for test pressings of commercial records and not a stable enough process to withstand more than a few plays before deteriorating) on which he assembled the scratchy sounds from in-between songs of his favourite records. As the record of these ‘pops’ is played, new pops are quickly created. A protective cover becomes irrelevant because playing it actually destroys it. It is certainly not a pop record in the generally held sense of that term. As extreme as Miller’s brand of pop seems to us today, it has its precedence in Marinetti’s use of radio static in 1933.

The ideas in the air at the beginning of the century are still very much present in the work of many contemporary artists. Performance artists still use records to preserve their work. Pop artists have realized and extended the notion of concrete composition that Marinetti and his contemporaries began. In the streets of Baku, the cabarets of Zurich and Berlin and the auditoriums of Paris and Milan, artists of the early twentieth century turned music, as it had once been known, on its head. Speech became abstract and music became concrete. And today a generation of art students has seized that once sacred and magical phonograph record and profaned it to the point that the line between the fine art and popular practice of record-making is as tenuous as the grooves of Miller’s record.

dalla pagina http://www.ubu.com/papers/concannon.html 

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